Mamma com’è cool questo blog!

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La B in versione sorella minore di Pippi

 
Fosse stato qualche tempo fa mi sarei perfino un po’ offesa: oggi Miss J mi ha scritto che questo non sarebbe un blog molto cool. Può essere. Ma secondo me esistono diversi gradi di coolness e viaggiocolbaby.com si piazza a un buon livello, dai. Ci sono oltre cinquanta sfumature di Nord e a me piace quella più pop, ok?

Comunque travestirmi da blogger mi sta dando grosse soddisfazioni. Mi sento moderna, giovane e con un futuro tutto rosa shocking davanti a me. Che, di questi tempi per niente allegri, è una sensazione favolosa. Vero colleghi?

Questo anche se, per dire, dovremo farci 1000 chilometri in 3 giorni in Norvegia e il papà di Vittorio si spaccherà la schiena su una BMW Serie 2 Gran Tourer (a proposito, grazie #BMWstories). E Vittorio piangerà e vorrà sempre fare Am! e correre su un prato incontro alle renne. O sarà un alce?

E la Berenice si lamenterà del suo seggiolino Be Safe che è quasi una poltrona mentre lei vorrebbe il suo rialzino rosso della Panda: «Sono grande, io». Invece a Nord si deve viaggiare sicuri sì, ma anche molto comodi. Così i bambini fino a 12 anni hanno un sedile che assomiglia a quello che trovi in aereo: tre posizioni di comfort e morbidezza. Se ne dovrà fare una ragione.

il Nord, secondo me
il Nord, secondo me

E niente, oggi vi lascio alla mia bambola in versione sorella minore di Pippi e a un paio di immagini rubate da un sito scandinavo che mi ha molto ispirato. Perché quando io penso al Grande Nord mi viene in mente una casetta tutta rossa che spunta dalla neve e le linee essenziali e perfettamente armoniche di un vaso di vetro colorato. Sopra a un tavolo di marmo di Carrara.

www.danielstjerne.com
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Mai visti i Dilf del Nord? Partiamo

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Che poi io devo ancora partire per la Scandinavia, eh. Esattamente noi voliamo a Copenaghen il 7 agosto, tra 9 giorni: 8 anni fa, quella mattina lì, nasceva la Berenice.

Comunque. C’è qualcuno che pensa che siamo già là. Si vede che i miei sono racconti iper realistici, evviva. Ieri mi hanno fatto un complimento di un certo livello. «Il tuo sembra il diario di una ragazza che vive in Danimarca ed elenca le cose che le piacciono dei paesi scandinavi. Soprattutto gli uomini». In effetti, dopo il salmone, la liquirizia, i prati e i boschi, la neve che fa tic e tac quando cade (sì, lassù fa rumore), amo moltissimo i maschi Danesi, Svedesi e Norvegesi.

Anche se non sono più una ragazza, ma una signora. E quindi grazie tante Miss J per il ringiovanimento istantaneo. Il viaggio lo sto preparando e tra qualche giorno posterò foto di valigia+scarpe++auto+seggiolini+baby.

Però, stavo pensando: e se anche da quelle parti andasse il genere Dilf? Massì, la declinazione maschile delle Milf, il solito Dad I’d Like To Fuck. Si incontrano al supermercato e di solito spingono il carrello col bebè infilato dentro il marsupio; cantano Let it go di Frozen; hanno la barba incolta, anzi sfatta; la camicia stropicciata e macchiata di cibo, quando va bene. Ne scrivevo su GQ a novembre e molti amici hanno messo il like su Facebook. Praticamente una specie di record.

Essendo che in Scandinavia il congedo parentale è usato con disinvoltura pure dagli uomini, ho fatto una ricerca. Giusto per capire se ne esistono di molto amati (intendo di Dilf) e come sono fatti esattamente.

Secondo me sono questi, ditemi che ne pensate. Attendo news.
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Henrik Lundqvist ha 33 anni, gioca ad hockey sul ghiaccio (e già questo…)  per i New York Rangers, ma è svedese. E si fa fotografare senza problemi mentre spinge il passeggino al parco. Non solo, del suo essere Dilf ne ha fatto un secondo lavoro. E infatti Bloomingdale lo ha premiato mettendolo sulla cover del suo catalogo con la figlia Charlise, 3 anni.

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Mads Mikkelsen è nato 49 anni fa in Danimarca e ha sempre fatto il cattivo al cinema (vedi l’ultimo Hannibal, serie tivù in cui lui fa Hannibal Lecter, il killer cannibale). Lo riconoscete? Qui lo vedete con la sua bella famigliola. I figli sono grandi, ma se mettete il suo nome su Google vi accorgerete che verranno fuori un sacco e mezzo di foto di Mads sul red carpet coi figli (in qualsiasi fase della loro crescita). Dilf dichiarato da mo’.

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Haakon Magnus è il principe di Norvegia, l’unico maschio della  dinastia. Però  non è niente male, eh. Compirà 42 anni il 20 settembre e quando gira per il mondo si porta sempre dietro i suoi biondissimi babies, Ingrid, 11 anni, Sverre, 10 e Marius,  il figlio che la moglie Mette-Marit Tjessem-Høiby ha avuto nella sua precedente vita. Bravo.

Cinque cose BUONE della Danimarca

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1 I Danesi sono dei gran fighi

Nikolaj Coster Waldau

Vedere alla voce Nikolaj Coster-Waldau, il Jaime Lannister di Game of Thrones: 43 anni e super sexy. Tra l’altro dal 1998 è sposato con la cantante e attrice Nukâka, questo nonostante si dica che i danesi disprezzino gli abitanti della Groenlandia: lei è nata proprio lì, a Uummannaq, 500 km a nord del Circolo Polare Artico. Hanno due figlie, Safina e Philippa.

2 Tutti vanno in bici. Sempre.

Mamma ciclista+babies

Le mamme si portano in giro i baby dentro una specie di scatolone con le ruote aggangiato al manubrio. Anche se la strada è ghiacciata, se piove o nevica. Raramente fanno incidenti. E nessuno porta il casco.

3 Fa quasi sempre freddo

Però i Danesi, come direbbe mia nonna, vanno in giro nudi. Ehm, più o meno.

Nikolaj Coster Waldau

4 I Danesi hanno una birra migliore dei tedeschi: yes!

 birra Carlsberg

La prima Carlsberg fu prodotta a Copenaghen nel 1847 dal signor J.C. Jacobsen che sarebbe ben felice di sapere che la sua società, oggi, ha oltre 500 marchi di birra. E una è più buona dell’altra, ve lo dice una donna che beve solo Martini (senza quella inutile oliva, però).

5 I Danesi hanno dato al mondo lo Smørrebrød

Il panino aperto

Cioè il panino aperto e ogni volta che ne ordini uno è una sorpresa. Praticamente usano una fetta di segale imburrata e ci piazzano sopra aringa, salmone, anguilla o maiale condendo il tutto con cipolla o rafano. Abitudine che hanno dal 1800. Grazie.

Bello il Royal Baby svedese!

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Che poi oggi tutti parlano dell’abito rosa della modella/giornalista/disangueblu che ha sposato il principe: non ci sono più le principesse di una volta. Non c’è più rispetto per la favola. Ormai solo party in piscina e salti acrobatici à gogo in mutandoni. E neanche una foto come si deve su cui esercitare un po’ di sana invidia pop.


Meglio allora Madeleine di Svezia che ha fatto uscire un mese dopo le foto del suo secondo nato, Nicolas, sulla sua pagina fan di Facebook: «Sono grata di essere mamma di due bambini», ha scritto come didascalia allo scatto del fotografo di corte. «Leonore e suo fratello sono due piccoli angeli». E beata te, ho subito pensato io. Vittorio a 22 mesi non mi fa ancora chiudere occhio, la notte. La Berenice mi tratta come fossi la sua migliore amica, non sua madre. Solo che è tutta colpa mia, ma va?

Comunque. Sono sicura che Leonore, un anno e mezzo, non osa opporre neanche un no a Madeleine. E neanche a papà, che non è né conte né marchese né nonsocosa, ma mette a sua volta in riga il re. Christopher O’Neill è un banchiere newyorkese e snobba gli impegni istituzionali perché: «Devo mettere il cibo sul tavolo della mia famiglia», ha risposto al re che si lamentava perché aveva “paccato” il suo compleanno.

«Ho la mia azienda e lavoro duro, talvolta i miei impegni sono in conflitto con quelli reali. Ci sono clienti che non sanno chi io sia, non possono programmare le cose in anticipo». Ed è per questo che da Stoccolma si trasferiranno a Londra.

Ma si sa che i monarchi scandinavi sono assai elastici e piuttosto comprensivi. Se ne vanno in giro in bici e a fare la spesa al supermercato. E non fanno be’ neanche se uno dei loro figli sposa un’ ex “attrice erotica” (vedi Carl Philip che a giugno ha detto sì a Sofia Hellqvist). Ribadisco: ma quanto sono avanti?

E alla fine vince Pippi

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E quindi sono corsa in libreria a cercare il famoso libro sulla Norvegia per bambini («Ma non in inglese perché lo odio»). Arrivo sudata marcia con il baby che sgambetta: «Entrate, entrate. Guardate pure», bofonchia un signore senza neanche sollevare la testa dal suo computer portatile. «Ecco, veramente so già cosa sto cercando: ha qualcosa per bambini sulla Norvegia e in italiano?».

«Ma lei pensa di entrare in una libreria e trovare tutto quello che desidera?». «No, in effetti per quello c’è Amazon o, al massimo, eBay»: questa sarebbe stata la risposta adeguata. Invece l’ho fatto parlare un po’, lui si è lamentato che insomma mica si traduce qualunque cosa in italiano e che guardassi sulle librerie on line. Ma si può?

Al che me ne sono andata. Ma si vede che gli dei del Grande Nord (io aspirerei a Thor/Chris Hemsworth, comunque) già mi amano. Infatti ho disfatto uno dei trenta scatoloni del trasloco e puff, è uscita Pippi Calzelunghe: ve lo giuro. Me l’ha portata Karin da Stoccolma che la Berenice avrà avuto 4 mesi scarsi. Un minuto dopo ho ritrovato il libro di Astrid Lindgren che Salani ha ripubblicato per i 70 anni dalla gloriosa uscita. Ok, non c’entra niente con la Norvegia ma ha pur sempre a che fare con la Scandinavia. Per un’infarinatura last minute può andare bene, no?

Dopodiché ho messo Vittorio sul suo norvegesissimo Tripp Trapp di Stokke e gli ho piazzato davanti una foca bianca del Mar Glaciale Artico (ma di peluche) e Pippi e lui s’è innamorato della seconda. A prima vista. E io lo capisco, eh. Per me è stata esattamente la stessa cosa. Infatti sono più emozionata io dei mie due piccoli all’idea di andare a Vimmerby, la città natale di Astrid: qui tutti i suoi personaggi sono in carne e ossa e costumi fumettosi e si dorme dentro deliziose casette rosse.

Ora, ho già detto quanto io debba a Pippi. Oggi ho scoperto che molte ragazze che negli anni Sessanta hanno rivoluzionato i costumi nei loro Paesi si sono ispirate proprio a lei. E che Astrid, un giorno, alla domanda Che cosa desideri per il tuo 94° compleanno?, ha risposto: «La pace nel mondo e vestiti carini».

Lo so, che ci azzecca con la Norvegia? Niente. Ma trovatelo voi un libro di fiabe norvegesi per bambini. E che sia in italiano. Non voglio un’antologia definitiva. Mi accontento di un libretto, grazie. Trepidante attendo vostre news.

Frozen 2 arriva, ma nel 2018: i rumours

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E comunque la colpa è tutta di Frozen. Voglio dire, se a dicembre io sono finita in Norvegia è soprattutto perché sul sito della Disney avevo letto che i disegnatori si erano ispirati a Bergen per realizzare le scenografie di Arendelle, il paesino dove vivono Elsa e Anna. Non solo. Ora ci sono tour operator americani che propongono esattamente il loro itinerario con, in più, un corso di un’ora di ballo folk («Per imparare a danzare proprio come Anna») e un giro in barca sul lago Loen per pescare le famose trote dei ghiacci.
Ah, e poi un tour tra il Geirangerfjord e il Naeroyfjord, entrambi patrimonio dell’Unesco. Che è poi quello che noi faremo ma in estrema libertà.

Sì, continuo ad essere ossessionata con e dalla Norvegia: che, non se nota?
Prima di partire però, voglio rassicurare i padri e le madri costretti per tutto l’inverno scorso a imparare a memoria Let it go o All’alba sorgerò, nella versione italiana: tranquilli, Frozen 2 arriverà ok, ma non prima del 2018. Quindi abbiamo tutto il tempo che vogliamo per rimuovere dalla memopria dei baby le due sisters. E ringraziate che il motto della Disney è: «Noi non facciamo in fretta, noi miriamo all’eccellenza».
Che poi nel frattempo i baby cresceranno e svilupperanno altre e più composite manie compulsive. Del resto ci aspettano almeno altri tre film prima di Frozen 2, inclusa Moana, il personaggio Disney che dovrebbe spaccare nel 2018.

Comunque due cose posso darvele per certe.
1) Elsa avrà un nuovo vestito e voi dovrete di nuovo mettervi in coda al Disney Store per assicurarvene uno. E nel caso non ci riusciate sapete già che su eBay ne troverete uno che costerà il triplo, ma vabbè. Fatevene una ragione. Vi chiedono la versione di Frozen Fever? Insegnate loro che: o tutto o niente. Insomma, ora vi sto dando la scusa giusta per opporre un convinto no (ringraziare, please): «Dai amore, meglio aspettare quella ufficiale e magnificente di Frozen 2: vuoi mettere?». 2) Elsa non morirà, almeno non per davvero. Nel senso che magari sarà di nuovo salvata dall’amore di Anna oppure, anticipano i rumours, potrebbe diventare una forza della natura di un certo livello. Eh, dovrà assicurarsi uno spin off o un Frozen 3 o insomma vendere ancora milionate di cose in tutto il mondo con la sua faccia stampata sopra.

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Infine io credo che ora che Anna e Kristoff si amano ed Elsa regna felicemente sulla terra dei ghiacci Olaf si troverà una fidanzata. Pure lui è un personaggio ben riuscito e in America pare sia quello più facilmente replicabile sulle torte di compleanno: due is meglio che one, giusto?

Ossessione Norvegia

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Sono ossessionata dalla Scandinavia, ormai. Ogni giorno penso alla Danimarca, alla Norvegia e alla Svezia, a tutte e tre contemporaneamente o anche in ordine sparso.

Dopodiché notizie à gogo arrivano dentro la mia email. Tipo: si è svolta a Copenaghen la conferenza internazionale dei Babbi Natali da tutto il mondo; ieri l’accademia dello stoccafisso di Imperia ha celebrato il leggendario merluzzo della Norvegia (veramente); in Svezia se usi Uber hai diritto al biglietto della metro scontato.

Oppure: a Chiavari si scatena una tempesta tropicale che fa scendere la temperatura di almeno dieci gradi; fuori è buio e umido; ma noi ce ne andiamo in spiaggia. Come farebbe in automatico un norvegese. O un danese. Anche uno svedese, del resto.

E la Berenice inaugura le sue nuove pinne sotto una pioggerellina fine fine che assomiglia a quella che potrebbe sorprenderci a Bergen. Naturalmente, in spiaggia, ci siamo solo noi e una coppia di diciottenni che si sbaciucchia e neanche ci nota. Avrei potuto pensare a qualunque cosa guardando mia figlia che si gode la tempesta felice come un pesce azzurro e invece mi è venuto in mente questo: ma si può fare il bagno ad agosto nel Mare Glaciale Artico? E se no, come glielo spiego? Più che altro, riuscirò a fermarla?

Ci stavo riflettendo su quando sono inciampata in una pietra rossa e bianca che, incredibile, replica naturalmente la bandiera della Danimarca. O della Norvegia, dipende quale colore, se il bianco o il blu, i vostri occhi riescono a percepire. Ricordate la storia del vestito bianco/oro/azzurro/marrone ect che ha prodotto milioni di click in tutto il web? Ecco.

A un certo punto la B, super eccitata, ha fatto la faccia da Pippi Calzelunghe e mi ha chiesto questo regalo per il suo ottavo compleanno: «Un libro illustrato, magari a fumetti, ma assolutamente in italiano (non in inglese perché lo odio) sulla storia della Norvegia. Mi piacerebbe che fosse molto colorato e con un sacco di giochi dentro. Me lo compri?». Ovvio che sì. Devo solo trovarlo. Ma che ci vuole? Mancano solo due settimane al viaggio e ho pure il baby fissato. Grazie, Dio.

 

 

Mi manchi, Amy: I love U! E Stoccolma le dedica una mostra

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Amy Winehouse
Amy Winehouse

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È vero, questo ha poco a che fare coi baby, il viaggio fino a Capo Nord e gli scandinavi. Lo so. È che io ho provato a non pensarci, ma appena l’ho vista sulla copertina di Vanity Fair mi sono resa conto che Amy Winehouse mi manca. Oggi sono 4 anni esatti che se n’è andata: avevo un bicchiere di champagne in mano e un vestito fucsia vintage addosso quando mi hanno chiamato dalla redazione di Max per avvertirmi. Ero al matrimonio di una persona che ai tempi amavo. A lei e al marito avevo regalato due iPod con LA colonna sonora definitiva per una vita-per-sempre-felice e, dentro, ci avevo messo anche Back to Black.

Comunque. Qualche giorno prima mi avevano chiesto di fare un ritratto di Amy. Avevo scritto spesso di lei e in quei giorni avevamo capito che avrebbe potuto accadere qualcosa di irreparabile. Non so come o perché lo avessimo intuito, ma nel momento in cui mi è arrivata la telefonata sono scesa dai tacchi, ho appoggiato i piedi sul prato e ho pianto. Davvero.

Poi sono tornata a Milano e ho aggiornato il pezzo. Che è diventato un coccodrillo. Anzi, una copertina/coccodrillo.

Però, ancora oggi, tutte le volte che vedo una foto di Amy mi si stringe il cuore. La prima volta che l’ho incontrata aveva solo 20 anni ed era una bella ragazza paffuta della working class che parlava con un accento cockney irresistibile. Niente a che fare con quel che è diventata dopo, povera stella.

Amy Winehouse ritratta nella sua casa di Camden
Amy Winehouse ritratta nella sua casa di Camden

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quel giorno si era presentata in tuta Adidas e scarpe da ginnastica. Senza trucco. Aveva la pelle rosa, liscia, fresca di gioventù. Profumava di caramelle.

Diceva che la sua arte era tutto e che della fama non gliene fregava niente: voleva fare la musicista, ok? Era il 2003 e aveva pubblicato Frank, il primo disco. Era dedicato a un ex fidanzato che, guarda un po’, l’aveva trattata assai male. «Riesco a scrivere solo cose personali, che ci posso fare? Va così, è più forte di me». Le avevo fatto i complimenti perché ai tempi mi arrivavano decine di cd a casa ogni settimana e non riuscivo neanche ad ascoltarli tutti, ma il suo aveva una copertina fucsia e quindi l’avevo inserito nel cd player dello stereo e avevo scoperto che: era FAVOLOSO.

La nostra era stata la classica chiacchierata tra ragazze. Eravamo nella sede milanese di Universal ma era come se fossimo nella nostra cameretta. E ai tempi, forse, ne avevo combinate di più io di Amy. Se non altro solo per una questione anagrafica.

Non avrei mai immaginato che, qualche anno dopo, se ne sarebbe andata in giro con la cofana, gli occhi dipinti e completamente strafatta. Oltre che spaventosamente dimagrita, sia chiaro. Quindi, per me, lei resta la girl di cui sopra.

 

Visto che gli scandinavi sono sempre avanti sappiate che se passate da Stoccolma la galleria Movitz fino al 26 luglio le dedica una mostra. Con foto di Amy da piccola e in versione teen.

Invece, Amy Winehouse. The Girl Behind The Name, il film di Kapadia arriverà in Italia il 15, 16 e 17 settembre. Il Guardian lo ha definito un capolavoro. Io ho guardato il trailer e mi sono emozionata. Ve lo regalo, va.

 

Dieci cose che mi piacciono della Danimarca

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pesci di liquirizia, sì

1 La liquirizia

Okay, c’è la danish pastry: paste e brioche alla cannella e anche un po’ appiccicose. Ma le trovi in tutto il mondo. Dopodiché esiste la liquirizia che in Danimarca va dal salato al dolcissimo ed è declinata in ogni forma e grado di morbidezza in caramelle, gelato, birra, tè, patatine e snack. A Copenaghen c’è anche un festival dedicato alla liquirizia, di solito a febbraio. E io ne vado letteralmente pazza. Vabbè, ognuno ha le sue perversioni.

2 Il design è super

Altro che Ikea. Qui sono nati e cresciuti i maestri del design nordico che hanno disegnato le sedie più iconiche della storia, quelle che oggi trovate ancora nelle case più cool del pianeta. Per dire. Arne Jacobsen nel 1958 realizzò la Egg Chair e la Swan Chair, una poltrona a forma di uova e l’altra di cigno: le aveva pensate per la lobby del Royal Hotel di Copenaghen (oggi Radisson Blue) e resistono ancora oggi in tutta la loro grazia. Oppure c’è Poul Henningsen, quello del carciofo, massì il lampadario Artichoke. Praticamente lo vedete appeso al soffitto di ogni casa che compare in un qualunque film danese.

3 Si lavora poco e molto bene

I danesi hanno la settimana più corta del mondo: lavorano 33 ore, contro le nostre 40 scarse.

4 Le vacanze sono lunghe

Si ha diritto ad almeno 5 settimane di ferie pagate all’anno.

5 La maternità dura 12 mesi

Sì, avete capito bene: le danesi si godono un anno intero di maternità pagata al 100%.

6 E se perdi il lavoro, no problem

Ti licenziano? Tranquillo: il governo si prende cura di te e per due anni di fila ti paga un assegno di disoccupazione pari al 90% del tuo ultimo stipendio.

7 Sempre che tu non abbia un piano B

Tipo quello di Ole Kirk Christiansen. Ultimo di 13 fratelli, carpentiere, perde il lavoro nella grande crisi del ’29 e quindi comincia a costruire giocattoli usando il surplus di legname che trova in giro. Pensa a un nome. Poi, idea, utilizza le prime due lettere delle parole “lege” (giocare) e “godt” (bene): LE-GO. Infine, nel ’47, riconverte i mattoncini di legno in plastica e voilà, nasce Lego. È un successo globale.

8 Quindi i danesi sono i più felici al mondo

Il loro segreto? Hanno aspettative realistiche, quindi tutto quello che di bello nella vita arriva all’improvviso e in più li fa contenti. Beati.

9 Ma non sono mai sdolcinati

Self control danese: si amano sì, ma senza troppo esibizionismo. Per esempio. All’aeroporto di Aalborg c’è un cartello che avverte: il tempo massimo per un bacio d’addio non deve superare i 3 minuti. Capito?

10 E neanche troppo cerimoniosi

Al cameriere semplicemente dicono: «Dammi una birra». E lui non ci rimane neanche male. Espressioni come: per piacere, mi scusi, grazie, nella lingua danese non esistono. Veramente. Però loro sono gentili e rispettosi, eh. Che è uno dei 10 motivi per cui io li amo.