Andrà tutto bene, nonostante il Coronavirus

Che poi io penso sempre: se ci sono riusciti i miei nonni, a superare un conflitto, l’esilio e la tortura allora, forse, ce la posso fare anche io. Ce la possiamo fare.

È vero, il Coronavirus è un nemico invisibile solo che noi italiani siamo abituati a lottare meglio degli altri perché è l’amore che ce lo impone. Noi non lasceremmo mai morire i nostri cari come invece saranno costretti a fare gli inglesi dopo che Boris Johnson ha scelto di silenziare la crisi economica e abbandonare i più deboli al loro destino.

Non che Macron abbia scelto la vita permettendo che le elezioni comunali si svolgano come niente fosse in Francia questa domenica 15 marzo. Però, almeno, da lunedì chiude le scuole.

Io sono davvero orgogliosa di abitare in un paese come l’Italia che si prende cura dei suoi cittadini e piuttosto chiude tutto pur di provare a salvarci, ecco. Andrà tutto bene. Viva l’Italia.

Un sogno chiamato Florida

Accomodarsi in poltrona al cinema e guardare Un sogno chiamato Florida è come assaggiare un gelato all’arancia e accorgersi che è un po’ troppo aspro. L’idea di Sean Baker, regista di Tangerine (girato tutto con un iPhone e pluripremiato), è la seguente: filma un’estate qualunque ai bordi della US Highway 192 e dimostra che si può anche vivere ai margini del “luogo più felice della terra”. Basta avere sei anni, senso dell’avventura e la meravigliosa spensieratezza che solo i bambini riescono a conservare anche nelle situazioni più assurde.

Qui infatti i protagonisti sono Moone e i suoi amichetti che vivono accanto a Disney World, in quella gigantesca tangenziale costellata di motel e negozi cinesi di souvenir in cui assaggiano il sapore della libertà correndo nei prati (sì, ne esistono ancora) eccitati dall’incredibile sensazione che in quell’istante della vita tutto può essere davvero ancora possibile.

Ok, questo è anche un racconto iper realistico, disilluso e senza paura sulla miseria dei disgraziati con famiglia in America. Quelli che vivono a Kissimmee, dormitorio dei lavoratori stagionali di Disney World a una manciata di chilometri da Orlando, hanno un tasso di povertà del 25,6% e, tra loro, il regista ha deciso di mettere in scena la vita di madri single (a proposito: in America esistono solo ragazze madri?), nonne con nipoti a carico e padri senza un straccio di lavoro che si sono rovinati con la bolla dei mutui e non possono permettersi di pagare un deposito per un appartamento in affitto.

Dunque, sborsano 40 dollari a notte per dormire al Magic Castle Inn and Suites (esiste davvero) gestito dal classico burbero dal cuore di panna Willem Dafoe (candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista).


La vera bella nuova scoperta del film è Brooklynn Prince, una delle baby attrici più dotate dai tempi di Drew Barrymore. Con quel broncetto un po’ così sempre su e le smorfie in modalità diva di Hollywood nature riesce a dare lezioni di recitazione ogni volta che guarda dentro la telecamera.
Valeria Cotto (Jancey) è stata reclutata dentro un negozio della catena Target a Kissimmee, notata grazie ai suoi capelli rossi fosforescenti e Bria Vinaite (Halley), la madre-bambina degenere più deliziosa degli ultimi cinque anni, è stata scelta con un casting su Instagram.

E anche se fa la parte della tatuata dai capelli blu incapace di trovarsi un qualsiasi lavoro onesto, finisci per innamorartene. Soprattutto quando la cameriera le chiede il numero della camera e, mentre Moonee si sta abbuffando abusivamente al buffet delle colazioni di un motel, lei con la faccia più sicura e sprezzante della storia del cinema sul white trash sorride e spara un numero a caso. Facendola franca.

È in quell’esatto momento che io mi sono detta: non ho mai fatto la lapdancer né mi ha mai sfiorato il pensiero di vendermi in una camera di un motel (vedi Halley); ho sempre lavorato per offrire il meglio ai miei figli. Solo che nessuno dei due, ancora, mi ha guardato con quegli occhi traboccanti amore e gratitudine che ha Moonee nel film tutte le volte che fissa la sua mammina. Perché?

 

Del perché sciare favorisce incontri speciali a Cortina, Antagnod e Champoluc

E comunque da oggi non si scia più. Nel senso che fine, stop, arrivederci, la stagione si è chiusa: la neve ormai ha la consistenza della granita al limone, il sole ogni giorno prova a sbucare da dietro le nuvole (con scarsi ma ammirevoli risultati), e i miei scarponi da sci non ce la fanno più. Quindi è deciso, dopo 15 anni di servizio sono pronta a disfarmene e già fremo all’idea di trovare un grandioso deal su Internet per tornare in pista con un paio di sci finalmente alla mia altezza.

Però quest’anno sono riuscita a convincere la Berenice che sciare fa assai bene, allunga le gambe e i muscoli della schiena, ti aiuta a vincere la paura, ti trasforma in una regina (delle nevi), ti mostra come potrebbe essere la vita se anche tu avessi un paio di ali, ti porta in posti magnifici, ti procura amicizie e incontri molto speciali. Sì, è social.

Per dire. A Pasqua ho trascinato la mia famiglia a Cortina e ci siamo trovati a ordinare zuppa di lenticchie & vari Prosecchini accanto a Flavio Tosi, il sindaco di Verona. Che si è sorbito Vittorio e le sue sceneggiate per tre sere di fila e non ha neanche mai espresso il desiderio di cambiare tavolo, esiliarci in un angolo buio e isolato, fare fuori i più piccoli: «Ma ci mancherebbe». Un sant’uomo, ci credo che è fuoriuscito dalla Lega.

Comunque. Quest’anno l’inverno ci ha dato grosse soddisfazioni e abbiamo conosciuto persone incredibili. Sempre a Cortina d’Ampezzo, provincia di Belluno, sulle Dolomiti c’è un posto che si chiama passo Falzarego. Proprio lì Raniero un giorno ha preso in gestione il rifugio Col Gallina, ci ha investito tempo, idee e moltissima passione e lo ha trasformato in un luogo fiabesco dove organizza feste, cene romantiche, passeggiate con le racchette da neve. Ha un figlio di 16 anni, Kevin: pochissimi dei trentenni che ho incontrato in tutta la mia vita sono mai riusciti a sembrare così saggi, calmi, misurati, intelligenti. Con lui si è messo a ricostruire una trincea e un paio di baracche aggrappate alla montagna che guardava l’Austria e che ci riamo ripresi nella Grande Guerra. Ecco, oggi organizza proprio lì tour gratis per le scuole elementari locali ed escursioni in motoslitta con pranzo/cena & rievocazioni storiche. Oppure, vi fa provare le fat bike, le nipoti delle vecchie BMX degli anni Ottanta, ma con le ruote ciccione. E tornate bambini. Se passate di qua chiamatelo, ditegli che vi ho mandato io ( +39 0436 2939, +39 339 4425105) e poi fatemi sapere.

Ah, si è pure inventato la Starlight Suite: è una specie di carrozza di vetro dentro cui dormirete sotto le stelle, in cima al Lagazuoi; e l’ultimo a passarci la notte è stato un cantante italiano molto pop, non so se mi spiego. L’esperienza prevede una cena al rifugio, tragitto in motoslitta alla stanza, notte al chiar di luna, ritorno e colazione al rifugio. Totale, 300 euro. Non male, eh?

In Valle d’Aosta, invece, ho sciato con una vecchissima conoscenza che passa l’inverno a Champoluc, conosce praticamente tutti, si veste di giallo canarino, mangia molto, ma non si nota per niente: grazie per la discesa e il ritorno al futuro, Angelo. La Berenice chiede se possiamo incontrarci ancora al Campo Base. Secondo me si può fare, avvocato.

Eppoi sono riuscita a passare tre giorni ad Antagnod, poco più sotto, con una scienziata. Veramente. Sua figlia è nella stessa classe della Berenice ed entrambe hanno preso 8 in condotta, solo che la Virginia scia decisamente meglio. E per forza, appena nevica sale su e fila via sugli sci come una gigantista da quando aveva 4 anni. Per padre ha un epidemiologo però quando ci siamo trovati tutti insieme a cena non mi sono sentita troppo a disagio. Virginia ha due occhi verdi grandi così e un fratello, Tommaso, che a scuola ottiene risultati sorprendenti; è anche un bambino gentile (grazie per le scuse finte, eh!).

Poi c’è Giusy, la scienziata di cui sopra, che lavora allo Ieo e sta cambiando il mondo con le sue ricerche mentre gran parte dei suoi colleghi (e i loro cervelli) scappano all’estero. Ecco, io dico che sono felice di aver sciato anche con lei per tre ragioni: 1) perché ho la prova provata che scio perfino meglio di una scienziata (yes!); 2) litighiamo da tre anni, ma adesso credo che possiamo forse, finalmente, definirci quasi-amiche; 3) solo quando condivido le mie giornate con persone di valore  ho la certezza di non aver sprecato il mio tempo.

Quindi quest’estate non ci resta che cercare la neve sulle piste di Argentina, Cile o Nuova Zelanda. Partiamo?

Weekend a Champoluc

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Appena ho perso ventidue chili, il che è successo sei mesi esatti dopo che è nata la Berenice, sono andata a sciare. E appena ho capito che due anni e mezzo di notti in bianco non avrebbero contato poi molto sul mio equilibrio psico-fisico (vabbè), sono andata a sciare. Perché quando io mi infilo gli sci ogni cosa torna sempre, più o meno, al suo posto. Deve essere tutto quel bianco totale che mi mette in ordine i pensieri e mi ossigena il cervello, «la parte più importante dell’attrezzatura», come lo definì un giorno qualcuno appassionato di montagna almeno quanto me.

E quindi, per inseguire tutta la gloria che di solito mi dà una discesa a meno 16 con il vento frizzante che taglia le labbra, siamo finiti a Champoluc, Valle d’Aosta. L’avevo cancellata dalla mia mappa della memoria, ma mi è bastato arrivare in piazza alle nove di sera per ricordare di esserci già stata nella mia vita precedente. Sì, quella senza i baby.

Ma lo sapete che quassù, a mezzora dall’uscita dell’autostrada, c’è tanta Scandinavia? Sembra strano ma ormai, ovunque io vada, incontro qualcuno del Grande Nord. Per dire. Qui vive una piccola comunità di giovani svedesi: lavorano nei negozi sportivi e, anche se in Svezia le montagne (quelle serie) praticamente non esistono, loro si occupano di sci e sistemano attacchi. Davvero. Ho incontrato perfino una ragazza di Tampere, Finlandia, che mi ha aiutato a infilarmi un paio di scarponi Head turchesi e quando le ho detto che ad agosto siamo passati da Ylläsjärvi ha commentato: «Sì, deve essere da qualche parte in Lapponia. Mai stata». E poi, mentre avevo la netta sensazione di essermi persa e ho chiesto a un ragazzo con la giacca rossa dove fosse il Campo base lui mi ha risposto: «Sono norvegese, sorry». Di dove, ho chiesto io. «Tromso». «Ah, Tromso! Ci siamo stati questa estate». Mi ha guardato con due occhi grandi così e mi ha buttato lì: «Sì, ma con la neve è meglio». E in quel momento ho avuto l’impressione che non mi credesse, ma mi sono sentita molto cool lo stesso.

Comunque. Se passate di qui e cercate un posto grazioso dove dormire vi do una dritta: Villa Americana è un piccolo B&B appena aperto, ha camere spaziose e profumate che guardano il Monte Rosa e si affacciano sul famoso pratone dove i babies potranno innalzare pupazzi e prendersi a palle di neve. Ah, e se vi serve un maestro di sci sappiate che qui c’è addirittura il campione di chilometro lanciato, Simone Origone: dà anche lezioni private a 40 euro all’ora, che è la tariffa ordinaria per lezioni individuali.

Lo sci non è solo uno sport, per me è un altro modo di volare senza comprare un biglietto in economica per Miami. E mi permette di fare cose assurde come passare attraverso un tornello con addosso scarponi da cinque chili, un casco, due paia di sci & racchette (mia figlia è nata principessa), una maschera in faccia con la stessa serenità che mi avvolge quando entro in una Spa. Questo, solo perché so che sarò felice quando ridisegnerò la pista con la firma della mia discesa.

Ogni sciatore sa esattamente che cosa intendo. Tra Claviere e il Monginevro da piccola ho fatto voli che avrebbero potuto uccidermi, ma ho continuato a sciare sul ghiaccio, sulle pietre, sul sangue. Non lo so come mi sia riuscito esattamente, ma è per questo che per me una nera non sarà mai troppo ripida. Se lo diventasse, a un certo punto, vorrebbe solo dire che ormai sono troppo vecchia. Invece.

Berenice ha cominciato a sciare a 4 anni, Vittorio ho deciso che inizierà prima, il prossimo inverno quando avrà 3 anni e mezzo circa. Intanto gioca sulla “nene” e non patisce il freddo. Del resto è già stato alle Lofoten e a Capo Nord, si vede che si è abituato. O ha capito che il nostro è un destino scolpito nel surgelatore. Comunque so già cosa gli risponderò se oserà ribellarsi alle nostre alzatacce, quando avrà imparato a parlare. «Svegliarsi alle 5 con il buio per andare a sciare è dura. Svegliarsi alle 5 con il buio per andare a lavorare è durissima». Questa è una delle frasi epiche con il copyright di Kristian Ghedina, uomo di montagna di pochissime parole.

Gloriosi auguri Vittorio!

Mah, che ci faccio con questo coso?
Mah, che ci faccio con questo coso?

Oggi sono due anni esatti che non dormo. Forse riesco a chiudere occhio per 4 ore ogni notte, ma perfino Manolo Blahnik mi supera: ieri mi ha detto che lui ci riesce per 5 ore di fila. E ha 73 anni. Io, diversi di meno, ma ho due figli. Ecco, il più piccolo, Vittorio, oggi compie solo 2 anni. Ma molto intensi: gloriosi auguri Ghenghili!

È nato lo stesso giorno di Kim Kardashian, non so se mi spiego. E quando noi stasera spegneremo le sue due candeline nei cinema di tutta Italia si festeggerà il Ritorno al Futuro Day con la proiezione di Back to the Future II: il 21 ottobre 2015 è il giorno in cui Marty e “Doc” arrivano nel futuro. Ai tempi io ero piccola e sognavo di sposare Simon Le Bon e gli anni Duemila erano un traguardo che ero convinta i grandi si fossero inventati per metterci paura. Lo giuro.

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Vittorio ha smesso di dormire, definitivamente, quando siamo tornati dal nostro viaggio in Scandinavia. Sembra impossibile ma viaggiare tutto il giorno in macchina lo rilassava. Uno dei motivi per cui era così calmo era che: usavamo seggiolini norvegesi. E questo fa la differenza, secondo me. Lui è la prova vivente che BeSafe produce i seggiolini per auto più morbidi e comodi e favolosi del mondo. Intanto perché ci metti un secondo per capire come si montano in auto. Secondo perché hanno un bel design e rispettano norme di sicurezza a prova di norvegese, quindi di altissimo livello. Come tutto quello che fanno in Scandinavia.

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Inoltre, lassù, anche i modelli per bambini più grandi sono a forma di poltroncina diversamente da quel che succede in Italia dove basta una specie di cuscino di plastica e via. Il modello BeSafe da 6 anni in su si riesce perfino ad allungare in un paio di posizioni e perfino la Berenice si è complimentata: «Mai viaggiato così soffice». E lei gira il mondo su ogni mezzo di trasporto da quando ha 9 mesi. Quindi, secondo me, BeSafe dovrebbe usarci come testimonial mondiali. Hey, lassù: fateci un pensierino, saremmo perfetti. Chiamatemi. Scrivetemi.

Comunque. Vittorio dormiva molto meglio alle Isole Lofoten, per dire. Finché è restato in Norvegia lo mettevo in un qualunque lettino con le sponde di un qualunque hotel, pronunciavo una sola volta la parola nanna e lui tac, si addormentava. Da solo. Il che si è ripetuto anche in Finlandia e Svezia.

Ora. Di solito nel giorno del loro compleanno accade sempre qualcosa di un po’ magico, ai bambini: imparano a camminare, parlare, mangiare con le posate ect. Io oggi non ti chiedo tanto Vittorio.

Vorrei dormire almeno quanto Manolo. Solo un’ora in più. Ti prego, ti prego, ti prego. Me lo merito.

Ecco o del perché queste scarpe fanno volare

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Ci abbiamo passeggiato, camminato, corso. Le abbiamo testate sotto il sole, l’acqua e perfino la neve nel punto più a Nord d’Europa. Per 25 giorni di fila. Dopodiché le abbiamo lasciate riposare. Togliersi le scarpe Ecco è stato un po’ come levarsi di dosso le vacanze, decidere di tornare a mettere i piedi per terra. In terra italica, ovvio. Perché quando indossi le scarpe Ecco è «come camminare sulle nuvole», sostiene la Berenice. E ha ragione.

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imageimageChiedete agli scandinavi perché. Loro che hanno invaso qualunque torget, le vie dello shopping, di negozi Ecco fighissimi. Per dire. Entri e sei in un negozio di design abitato da bionde apparizioni che ti sorridono e ti fanno provare tutti i sandali, sneakers, stivali e scarponcini che vuoi. E sono ben felici di aiutare a scegliere, di perderci del tempo, pure. È successo in Danimarca, ma poi abbiamo provato la stessa esperienza in Norvegia e in Svezia. No, in Finlandia non ce l’abbiamo fatta: ci è toccato far visita a Babbo Natale, chevelodicoafa’.

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Comunque è la prima volta che mi capita di andare a spasso per ore/chilometri e non sentirlo proprio alla fine della giornata. Nel senso che, davvero, forse non esistono al mondo scarpe più comode.

Vittorio lo ha capito la prima volta che le ha provate: ho dovuto litigarci per convincerlo a separarsene, era luglio e i suoi scarponcini erano light, ma non l’ideale per un’incandescente estate milanese a quasi 40 gradi. La Berenice le ha guardate e ha detto: «Sono bellissime!». E lei è una che non si sbilancia, con le sneakers. Vuole solo scarpine rosa/d’oro/glitter e ballando alla Scala i suoi piedini riconoscono subito quelle in grado di trasformarsi in una trappola. Invece.

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Quindi, il vero problema è che in Italia Ecco non vende scarpe per bambini. Clamoroso errore, ditelo al  signor Ecco: i miei figli sono i migliori testimonial della bontà del prodotto che è di qualità sì, ma ha pure un design favoloso e non è così scontato soprattutto se cerchi scarpe da maschio fino ai 3 anni. Però, amiche, tranquille. Potete comprarle sul sito: ecco.com

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Dopodiché sappiate che anche noi possiamo incedere, marciare, gironzolare e vagabondare con un paio di sandali Ecco rasoterra senza soffrire e/o assomigliare a una soccer mum americana. Ve lo giuro. Vedere foto, please.

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Capitolo uomo. Be’, fossi in voi metterei Ecco subito sulla barra dei preferiti. Perché io non ho mai visto scarpe sportive da uomo (che non siano le solite sneakers icona che portiamo tutti dagli anni Ottanta in poi) così ben disegnate. E, chiedete in giro, io di scarpe me ne intendo. Tra l’altro, a novembre usciranno le Ecco Intrinsic che Germano ha provato in anteprima (seguirà recensione dettagliata nei prossimi giorni) e queste potreste metterle direttamente sotto l’albero di Natale di vostro marito/fidanzato/padre/fratello/figlio/amante/amico: linee pure, materiali super tecnologici, ideali per un viaggio, un meeting, il sabato pomeriggio al parco col baby. Belle, no?

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Otto ore a Copenaghen coi bambini

Altre quattro ore in Bmw Grand Tourer, attraversamento del ponte di Malmo (costa 52 euro) e siamo tornati in Danimarca. Fa freschino. Che è un altro dei motivi per cui ci manca tanto la Norvegia sopra il Circolo Polare Artico. Pfui.

Abbiamo salutato la Sirenetta perché volevo capire se quella di Trollbeads le assomiglia: sì, e se possibile è perfino più sorprendente. Vedere foto. Il bracciale è completato. Brilla di luce propria, oltre a essere magnifico. E la gente mi ferma e chiede: «Ma dove l’hai comprato?».


Tra l’altro, davanti alla creatura di Andersen abbiamo anche conosciuto una coppia di eritrei appena sposati: abitano in Norvegia ma il matrimonio lo hanno celebrato qui sempre per via della Sirenetta. Dicono che il loro è un amore da favola. Vabbè.

Erano le tre e mezza quando siamo arrivati. Giusto il tempo di visitare il centro, fare una passeggiata per Nyhavn, il quartiere con le casette colorate che si allungano sui canali della città, e abbiamo capito che gli italiani sono innamorati persi di Copenaghen. Ma di questo la B se n’è fregata: «Quando andiamo a Tivoli?».


Tivoli è un parco dei divertimenti storico, eretto nel 1843, rimodernato nei secoli successivi, ma con quel fascino decadente e irresistibile che hanno solo pochi altri posti al mondo. E, soprattutto, è in pieno centro e i bambini hanno l’ingresso gratuito. Ciononostante, è anche uno di quei posti amati dalle coppiette perché, a modo suo, è anche romantico se ti piacciono certe atmosfere fin de siècle. Quindi, ci abbiamo passato tutta la sera.

Domani partiamo e pazienza per la famosa lettera. Io non ho paura.

A casa di Pippi Calzelunghe

E poi c’è un momento in cui ti senti, per la prima volta in vita tua, un’intrusa. A me è successo a Vimmerby, 3 ore e rotte da Stoccolma: è un paesino fuori dalle solite rotte turistiche, il luogo dove Astrid Lindgren, la scrittrice svedese più amata dai bambini, è cresciuta in un casetta rossa circondata da alberi di mele. Dopodiché ha scritto Pippi Calzelunghe, nome che ha tirato fuori sua figlia Karin in una di quelle sere in cui voleva un’altra favola. Risultato: un successo da 130 milioni di copie tradotto in 60 lingue e dai cui sono stati tratti 27 film.

Che è poi uno dei motivi per cui ho sempre voluto andarci, in quel villaggio della Svezia profonda. Volevo capire com’è riuscita una single mum a tirare su il primo figlio Lasse da sola, a trovarsi un marito, farci una figlia per poi prendersi cura di tutta la famiglia scrivendo fiabe milionarie. Il tutto negli anni Cinquanta. Già, perché Pippi oggi ha 70 anni, esattamente l’età di mio padre. E quest’anno si celebra appunto l’anniversario della sua nascita con la ripubblicazione dei libri illustrati originali e il lancio sul mercato di t-shirt e gadget vari con le trecce rosse. Astrid se n’è andata a 94 anni nel 2002 e nonostante fosse stata più volte candidata non ha mai vinto il Nobel per la letteratura: Dario Fo sì.

Comunque. Dicevo della mia sensazione di estraneità. A Vimmerby, appunto, hanno eretto l’Astrid Lindgren’s World, un parco a tema all’aria aperta in cui hanno replicato il villaggio di Pippi, Villa Villacolle, il signor Nelsson e zietto, il cavallo bianco a pois. Oltre ai personaggi delle altre storie che in Italia non sono mai arrivate. Ecco. Entri e hai la sensazione di essere negli anni Ottanta in un paese lontano. Sì, perché è come se nessuno se ne sia mai occupato da quel periodo lì in poi. Atmosfera vintage, insomma. E un numero incredibile di ristoranti, superiore perfino alle attrazioni. Con la ricomparsa degli enormi carretti portatutto che avevo visto in Danimarca. Ah, il Trollbeads di oggi si chiama “l’Alba dei Sogni”, è un arcobaleno di vetro di Murano e la B me lo invidia molto.

Quindi, picnic sui prati; famiglie di biondi, biondissimi e albini con almeno 4 figli a testa; che se ne vanno in giro scalzi e in prendisole; neanche un immigrato; non un’indicazione in inglese. E tutti che mangiano pancake alla marmellata di mirtilli. Perfino Pippi se ne fa tutti i giorni una scorpacciata intorno alle 16 coi piccoli spettatori: mai vista un’attrice/cantante costretta a ingurgitare (letteralmente) tutti i giorni le porcherie di cui vanno pazzi i bambini.

Ma siamo in Svezia, non a Collodi. E il sistema sanitario e lo stato si prenderà cura di te e dei tuoi bambini qualunque cosa accadrà.  Quindi sono tutti felici. La Berenice anche. E perfino Vittorio, nonostante sia caduto proprio di fronte alla casa di Astrid e abbia metà faccia graffiata, povero figlio. È successo davanti all’enorme salice sul quale, un giorno, hanno trovato appesa a un ramo la signora Lindgren. Aveva 70 anni e rispose così: «Non esiste alcuna legge che impedisca a un vecchio di arrampicarsi su un albero». Vero.

È per questo che mi è sempre piaciuta. Perché lo capivi immediatamente che era una simpatica pazza. E quel suo femminismo magico che per eroina aveva una bambina di 9 anni capace di sollevare centinaia di chili, di vivere libera e bella nei boschi rovesciando le regole e i luoghi comuni, ha formato milioni di trenta/quarantenni di oggi che ancora si arrabattano lavorando e sognando ancora di farcela. Tutti i giorni.

E qualcuna di noi ci riesce davvero, ad andare avanti. Probabilmente perché quand’eravamo piccole, una notte, qualcuno ci ha passato di straforo le pillole per non crescere mai. Ciao Pippi.

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PS: abbiamo dormito in un bungalow del campeggio dedicato a Pippi. Se ci capitate anche voi chiedete le lenzuola perché qui sono a parte. Sì, per risparmiare gli svedesi se le portano da casa.

Mamma mia, Stoccolma in 24 ore

E niente, a Umea siamo stati più o meno il tempo di un musical. Quindi uno scatto appena e via. Però abbiamo stabilito il record di neanche 7 ore per arrivare a Stoccolma, evviva. Va da sé che siamo devastati, che più che una vacanza è una corvée, ma con la Bmw Grand Tourer si guida che è una meraviglia, il Martini lo vendono solo in posti speciali dai nomi assurdi perché gli svedesi sono proibizionisti come i norvegesi, la temperatura è intorno ai 25 gradi, io ho rimesso i sandali. Però siamo felici perché non sappiamo se è arrivata la famosa lettera. Doppio evviva.

Abbiamo un gigantesco appartamento allo Scandic Hotel di Djurgårdendi, l’isola a più altra concentrazione di musei della città. E in programma per la nostra 24 ore di fuga in città avevamo lo Skansen, il museo all’aperto più antico del mondo, e un salto allo Junibacken, quello dedicato alla madre di Pippi Calzelunghe. Però oggi avevamo voglia di pop. Quindi ci siamo infilati nel museo degli Abba che, prima di aprire, è stato annunciato e celebrato per anni. A un certo punto pensavo che ci prendessero in giro. Invece no, è dovuta nascere la Berenice e arrivare poi Vittorio perché io potessi vederlo.
Gioia e gaudio.
Dialogo madre/figlia.

«Mamma, ma tu eri fan degli Abba?»
«No, io nascevo e loro avevano già vinto almeno tre dischi d’oro»
«Quindi non sei vecchia come loro»
«Rispetto a loro io sono, come dici tu, una ragazza»
«Ma gli uomini portavano le zeppe? E quella perché ha addosso un vestito che sembra il tubo di un dentifricio?»
«Era la moda dell’epoca. Gli anni settanta»
«Quando tu eri piccola. Ma, praticamente, tu di chi eri fan?»
«Io prima volevo sposare Simon LeBon dei Duran Duran, poi ho deciso che mi piaceva di più Madonna»
«Ah ecco».

Questo mentre Vittorio lottava per restare a bordo dell’elicottero che ai tempi portava gli Abba a spasso da una città all’altra. Comunque. Questo museo è una figata. E anche i bambini si divertono a scoprire i video del gruppo svedese più popolare e baraccone del paese. Ma possono anche: mixare i loro successi, cantarli, ballare sul palco mentre appaiono le gigantografie dei Fantastici Quattro svedesi danzanti. Oppure, come ha fatto la B, ci si può ritirare in uno studio e ballare per conto proprio. Per protesta.

È ovvio che quando siamo arrivati a Gamla Stan, la città vecchia medievale, la B ha preteso il pellegrinaggio ai negozi di souvenir. È qui che abbiamo avuto la prova che le ragazze di Trollbeads hanno sempre ragione: il bead a forma di cavallo replica quello di Dala che è diventato il simbolo di Stoccolma. Fino a un centinaio di anni fa era il giocattolo più diffuso in Svezia: lo intagliavano i contadini davanti al fuoco del camino per ammazzare le lunghe e oscure notti polari. Oggi lo trovate di tutte le dimensioni, dal magnete per il frigo alla scultura da piazzare in salotto. Anticamente era rosso, ora lo fanno di tutti i colori. Ma va?

Eppoi abbiamo fatto i turisti in in viaggio col baby. Quindi gita in battello (bella quella Under the bridge che dura un’ora e 45 minuti), parchetto e seratona al LunaPark che qui si chiama Gröna Lund e si affaccia sul mare. Ha le montagne russe più terrorizzanti del pianeta terra. E c’è anche un calcinculo, l’Eclipse, che appena lo vedi svieni. Soprattutto se soffri di vertigini come me. È il più alto del mondo e ti fa volare fino a 120 metri d’altezza. Non ho potuto scattare foto perché: 1) avevo il mal di mare; 2) a un certo punto ha incominciato a piovere; 3) quindi siamo rientrati. Grazie Dio.

Scandic, mai visto un hotel più baby friendly

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Se ci entri con un bambino, maschio, sui 2 anni o giù di lì, stai fresca che non riuscirai a convincerlo a salire in camera se non con la forza: nello Scandic hotel di Lulea all’ingresso hanno piazzato due macchinine vintage, un pullmino anni Settanta e un calciobalilla.

È il loro benvenuto ai baby. Dopodiché ti regalano un set di tatuaggi, libri da colorare, pastelli di cera, caramelle, cioccolata, succo di frutta e, non so perché, una manciata di burro di cacao.
Poi, quando hai fatto il check in, ti accorgi che c’è una piscina e una sauna: «Così, se piove e non riesci a giocare a bocce sul prato o fare una passeggiata lungo il laghetto accanto, nuoti al caldo. E, i genitori, vanno a turno in sauna», mi ha spiegato il direttore. Grazie.

Questo per dire come ci sanno fare i nordici. Esiste un menu per bambini a 69 corone con gli spaghetti al ragù uguali a quelli che vi faceva la nonna (ma il buffet per gli adulti costa solo 149, un po’ più di 16 euro) e d’estate a colazione i camerieri si travestono da cartoni e ti portano la cioccolata calda, i cornflakes e le uova sbattute cantando. La sera allestiscono una sala speciale per le famiglie dove si cena e, intanto, i bambini giocano. Con giocattoli meravigliosi come quelli di cui sopra. Ah, e se vi viene voglia di fare gli ecologisti potete sempre lasciare la vostra auto in hotel e provare le bici (gratis) dello Scandic. Sì, ovviamente c’è anche il tipico carrettino scandinavo dentro cui ficcare i baby. Domani a Stoccolma lo provo e poi vi dico.

PS: alle Lofoten lo Scandic di Svolvaer ha casette rosse deluxe che assomigliano alle rorbu dei pescatori, ma hanno tutti i comfort di un hotel moderno nordico. Quindi, se non ve la sentite di dormire in un’autentica casetta rossa da baleniere, provate queste. Same same but different.