Otto ore a Copenaghen coi bambini

Altre quattro ore in Bmw Grand Tourer, attraversamento del ponte di Malmo (costa 52 euro) e siamo tornati in Danimarca. Fa freschino. Che è un altro dei motivi per cui ci manca tanto la Norvegia sopra il Circolo Polare Artico. Pfui.

Abbiamo salutato la Sirenetta perché volevo capire se quella di Trollbeads le assomiglia: sì, e se possibile è perfino più sorprendente. Vedere foto. Il bracciale è completato. Brilla di luce propria, oltre a essere magnifico. E la gente mi ferma e chiede: «Ma dove l’hai comprato?».


Tra l’altro, davanti alla creatura di Andersen abbiamo anche conosciuto una coppia di eritrei appena sposati: abitano in Norvegia ma il matrimonio lo hanno celebrato qui sempre per via della Sirenetta. Dicono che il loro è un amore da favola. Vabbè.

Erano le tre e mezza quando siamo arrivati. Giusto il tempo di visitare il centro, fare una passeggiata per Nyhavn, il quartiere con le casette colorate che si allungano sui canali della città, e abbiamo capito che gli italiani sono innamorati persi di Copenaghen. Ma di questo la B se n’è fregata: «Quando andiamo a Tivoli?».


Tivoli è un parco dei divertimenti storico, eretto nel 1843, rimodernato nei secoli successivi, ma con quel fascino decadente e irresistibile che hanno solo pochi altri posti al mondo. E, soprattutto, è in pieno centro e i bambini hanno l’ingresso gratuito. Ciononostante, è anche uno di quei posti amati dalle coppiette perché, a modo suo, è anche romantico se ti piacciono certe atmosfere fin de siècle. Quindi, ci abbiamo passato tutta la sera.

Domani partiamo e pazienza per la famosa lettera. Io non ho paura.

A casa di Pippi Calzelunghe

E poi c’è un momento in cui ti senti, per la prima volta in vita tua, un’intrusa. A me è successo a Vimmerby, 3 ore e rotte da Stoccolma: è un paesino fuori dalle solite rotte turistiche, il luogo dove Astrid Lindgren, la scrittrice svedese più amata dai bambini, è cresciuta in un casetta rossa circondata da alberi di mele. Dopodiché ha scritto Pippi Calzelunghe, nome che ha tirato fuori sua figlia Karin in una di quelle sere in cui voleva un’altra favola. Risultato: un successo da 130 milioni di copie tradotto in 60 lingue e dai cui sono stati tratti 27 film.

Che è poi uno dei motivi per cui ho sempre voluto andarci, in quel villaggio della Svezia profonda. Volevo capire com’è riuscita una single mum a tirare su il primo figlio Lasse da sola, a trovarsi un marito, farci una figlia per poi prendersi cura di tutta la famiglia scrivendo fiabe milionarie. Il tutto negli anni Cinquanta. Già, perché Pippi oggi ha 70 anni, esattamente l’età di mio padre. E quest’anno si celebra appunto l’anniversario della sua nascita con la ripubblicazione dei libri illustrati originali e il lancio sul mercato di t-shirt e gadget vari con le trecce rosse. Astrid se n’è andata a 94 anni nel 2002 e nonostante fosse stata più volte candidata non ha mai vinto il Nobel per la letteratura: Dario Fo sì.

Comunque. Dicevo della mia sensazione di estraneità. A Vimmerby, appunto, hanno eretto l’Astrid Lindgren’s World, un parco a tema all’aria aperta in cui hanno replicato il villaggio di Pippi, Villa Villacolle, il signor Nelsson e zietto, il cavallo bianco a pois. Oltre ai personaggi delle altre storie che in Italia non sono mai arrivate. Ecco. Entri e hai la sensazione di essere negli anni Ottanta in un paese lontano. Sì, perché è come se nessuno se ne sia mai occupato da quel periodo lì in poi. Atmosfera vintage, insomma. E un numero incredibile di ristoranti, superiore perfino alle attrazioni. Con la ricomparsa degli enormi carretti portatutto che avevo visto in Danimarca. Ah, il Trollbeads di oggi si chiama “l’Alba dei Sogni”, è un arcobaleno di vetro di Murano e la B me lo invidia molto.

Quindi, picnic sui prati; famiglie di biondi, biondissimi e albini con almeno 4 figli a testa; che se ne vanno in giro scalzi e in prendisole; neanche un immigrato; non un’indicazione in inglese. E tutti che mangiano pancake alla marmellata di mirtilli. Perfino Pippi se ne fa tutti i giorni una scorpacciata intorno alle 16 coi piccoli spettatori: mai vista un’attrice/cantante costretta a ingurgitare (letteralmente) tutti i giorni le porcherie di cui vanno pazzi i bambini.

Ma siamo in Svezia, non a Collodi. E il sistema sanitario e lo stato si prenderà cura di te e dei tuoi bambini qualunque cosa accadrà.  Quindi sono tutti felici. La Berenice anche. E perfino Vittorio, nonostante sia caduto proprio di fronte alla casa di Astrid e abbia metà faccia graffiata, povero figlio. È successo davanti all’enorme salice sul quale, un giorno, hanno trovato appesa a un ramo la signora Lindgren. Aveva 70 anni e rispose così: «Non esiste alcuna legge che impedisca a un vecchio di arrampicarsi su un albero». Vero.

È per questo che mi è sempre piaciuta. Perché lo capivi immediatamente che era una simpatica pazza. E quel suo femminismo magico che per eroina aveva una bambina di 9 anni capace di sollevare centinaia di chili, di vivere libera e bella nei boschi rovesciando le regole e i luoghi comuni, ha formato milioni di trenta/quarantenni di oggi che ancora si arrabattano lavorando e sognando ancora di farcela. Tutti i giorni.

E qualcuna di noi ci riesce davvero, ad andare avanti. Probabilmente perché quand’eravamo piccole, una notte, qualcuno ci ha passato di straforo le pillole per non crescere mai. Ciao Pippi.

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PS: abbiamo dormito in un bungalow del campeggio dedicato a Pippi. Se ci capitate anche voi chiedete le lenzuola perché qui sono a parte. Sì, per risparmiare gli svedesi se le portano da casa.

Mamma mia, Stoccolma in 24 ore

E niente, a Umea siamo stati più o meno il tempo di un musical. Quindi uno scatto appena e via. Però abbiamo stabilito il record di neanche 7 ore per arrivare a Stoccolma, evviva. Va da sé che siamo devastati, che più che una vacanza è una corvée, ma con la Bmw Grand Tourer si guida che è una meraviglia, il Martini lo vendono solo in posti speciali dai nomi assurdi perché gli svedesi sono proibizionisti come i norvegesi, la temperatura è intorno ai 25 gradi, io ho rimesso i sandali. Però siamo felici perché non sappiamo se è arrivata la famosa lettera. Doppio evviva.

Abbiamo un gigantesco appartamento allo Scandic Hotel di Djurgårdendi, l’isola a più altra concentrazione di musei della città. E in programma per la nostra 24 ore di fuga in città avevamo lo Skansen, il museo all’aperto più antico del mondo, e un salto allo Junibacken, quello dedicato alla madre di Pippi Calzelunghe. Però oggi avevamo voglia di pop. Quindi ci siamo infilati nel museo degli Abba che, prima di aprire, è stato annunciato e celebrato per anni. A un certo punto pensavo che ci prendessero in giro. Invece no, è dovuta nascere la Berenice e arrivare poi Vittorio perché io potessi vederlo.
Gioia e gaudio.
Dialogo madre/figlia.

«Mamma, ma tu eri fan degli Abba?»
«No, io nascevo e loro avevano già vinto almeno tre dischi d’oro»
«Quindi non sei vecchia come loro»
«Rispetto a loro io sono, come dici tu, una ragazza»
«Ma gli uomini portavano le zeppe? E quella perché ha addosso un vestito che sembra il tubo di un dentifricio?»
«Era la moda dell’epoca. Gli anni settanta»
«Quando tu eri piccola. Ma, praticamente, tu di chi eri fan?»
«Io prima volevo sposare Simon LeBon dei Duran Duran, poi ho deciso che mi piaceva di più Madonna»
«Ah ecco».

Questo mentre Vittorio lottava per restare a bordo dell’elicottero che ai tempi portava gli Abba a spasso da una città all’altra. Comunque. Questo museo è una figata. E anche i bambini si divertono a scoprire i video del gruppo svedese più popolare e baraccone del paese. Ma possono anche: mixare i loro successi, cantarli, ballare sul palco mentre appaiono le gigantografie dei Fantastici Quattro svedesi danzanti. Oppure, come ha fatto la B, ci si può ritirare in uno studio e ballare per conto proprio. Per protesta.

È ovvio che quando siamo arrivati a Gamla Stan, la città vecchia medievale, la B ha preteso il pellegrinaggio ai negozi di souvenir. È qui che abbiamo avuto la prova che le ragazze di Trollbeads hanno sempre ragione: il bead a forma di cavallo replica quello di Dala che è diventato il simbolo di Stoccolma. Fino a un centinaio di anni fa era il giocattolo più diffuso in Svezia: lo intagliavano i contadini davanti al fuoco del camino per ammazzare le lunghe e oscure notti polari. Oggi lo trovate di tutte le dimensioni, dal magnete per il frigo alla scultura da piazzare in salotto. Anticamente era rosso, ora lo fanno di tutti i colori. Ma va?

Eppoi abbiamo fatto i turisti in in viaggio col baby. Quindi gita in battello (bella quella Under the bridge che dura un’ora e 45 minuti), parchetto e seratona al LunaPark che qui si chiama Gröna Lund e si affaccia sul mare. Ha le montagne russe più terrorizzanti del pianeta terra. E c’è anche un calcinculo, l’Eclipse, che appena lo vedi svieni. Soprattutto se soffri di vertigini come me. È il più alto del mondo e ti fa volare fino a 120 metri d’altezza. Non ho potuto scattare foto perché: 1) avevo il mal di mare; 2) a un certo punto ha incominciato a piovere; 3) quindi siamo rientrati. Grazie Dio.

È a Luleå, Svezia, lo chef che batte Cracco #Bmwstories

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E a un certo punto ci siamo ritrovati in Svezia, ad Haparanda. Percorri un ponticello, fai appena in tempo a dire bye bye alla Finlandia e ti accoglie subito il negozio Ikea più a Nord del mondo. Davvero. Da quel momento in poi solo pini, betulle e il limite dei 90/100 all’ora. Neanche una renna. È arrivando allo Scandic hotel che mi sono resa conto che avevo lasciato il cuore e un sacco pieno di speranza e voglia di wilderness forever in Norvegia. Subito dopo mi sono accorta di aver anche lasciato il caricabatterie del Mac alle Lofoten.

Emmmenomale che sono nel Nord della Svezia dove un Apple Store lo trovi e ti passa subito la paura. Comunque. Siamo arrivati a Luleå, evviva. La cittadina sull’acqua è graziosa, ma ciò che è magnifico è il villaggio antico, Gammelstad, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Questo perché è il meglio conservato della Scandinavia: 424 casette rosse del 1500 intorno a una chiesa di pietra, una meraviglia. Non ci abita quasi nessuno. E anche in passato era vivo solo durante il weekend. Si tratta di una “church town”, una specie di resort nato per ospitare i contadini che il sabato arrivavano in città e avevano bisogno di un luogo dove dormire. Poi la domenica si svegliavano, andavano a messa e facevano festa. Il che permetteva a chi viveva in terre lontane e ghiacciate un minimo di socialità. E il riposo dalla vita nei campi più freddi e inospitali d’Europa.

Le casette sono di legno, piccolissime, senza riscaldamento e bagno. Chi le ha ereditate ha il dovere di tenerle in ordine e mantenerle perfette. Auguri.

Dopodiché ho portato i baby a fare un giro in barca nell’arcipelago più grande della Svezia: 1700 isolette che, d’inverno, sono piccoli iceberg. Impressionante. Ci ha accompagnato Ewan e Vittorio è salito sul suo primo motoscafo, grazie. Siamo scesi a Brändöskär e, per la prima volta in vita mia, ho preso il caffè in un cottage/palafitta rosso del 1700. La Berenice non riusciva a crederci. Quando poi siamo andati a raccogliere i mirtilli nel bosco abbiamo capito perché Trollbeads ha scelto questo smeraldo così intenso per il bead “Bosco verde”: guardare la foto per credere. Tra l’altro ormai il bracciale è quasi completo e pesa e ormai mi ricorda che mancano appena 5 giorni e altrettanti beads al ritorno, maledizione.

Vabbè. La passeggiata tra le conifere si è conclusa con cena col vichingo. Anche se ci aspettavamo un Sami, ma è stato meglio così. Siamo scesi dalla barca e abbiamo trovato Ewan ad aspettarci davanti al fuoco. La Berenice ha preparato la marmellata di mirtilli per i pancake e noi ci siamo goduti una bruschetta con finferli e renna e del salmone alle verdure che neanche Carlo Cracco. Giuro. Segnatevi questo nome, Brändön Lodge, e tornateci d’inverno per vedere l’aurora boreale, fare snowmobile tra le isole, cenare sul ghiaccio. Dite pure che vi mando io, neh. Vi piacerà.

 

Trollbeads, la neve!

E alla fine, dopo un’estate incandescente in cui l’abbiamo a lungo sognata e otto giorni d’esplorazione, l’abbiamo trovata: la neve ad agosto l’abbiamo vista e toccata lungo la scenografica strada che arriva a Geiranger.

Non pensavamo  fosse possibile arrivarci tanto vicino. Invece, a un certo punto, ci siamo finite dentro quel che restava dell’ultima nevicata. Un fiocco di neve magica (Frozen), un cuore di cristallo (Anna) e il ghiaccio diacronico (Elsa) capace d riflettere qualunque sfumatura di colore: sono questi i Trollbeads che abbiamo aggiunto io e Berenice alle ultime tappe gelate.

In più, la B ha avuto in dono Bimba, un bead di vetro di Murano rosa confetto.

E stamattina si è svegliata con un troll sul cuscino che assomigliava a quelli che avevamo nel giardino. Sorpresa. Ad Ålesund è comparso il bead art nuoveau, invece: le ragazze di Trollbeads hanno fatto un ottimo lavoro perché sono proprio state loro le prime a dirmi di questo paesino norvegese distrutto completamente da un incendio e ricostruito da zero nel 1906. Tutto in stile art nouveau che, da queste parti, si dice Jugend stil.

Ma che vento c’è a Skagen? Siamo sulla punta più a Nord di Danimarca #BmwStories

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Se decidete di partire e venire fin quassù ricordatevi di non commettere il mio errore: mi illudevo che il sole fosse diverso dal nostro, che la sua potenza fosse flebile e che insomma non mi sarei mai bruciata, figurati. Così non ho portato la crema solare protezione 50 e oltre che viaggia sempre con me. Risultato: ho la faccia abbrustolita e assomiglio alla zia di un pescatore di balenottere. Maledizione.

La luce bianca perennemente puntata sulle 12.30 fino almeno alle 10 di sera mi ha stancato. Non perché non riesca a dormire bene, anzi. È che ti impone inconsciamente di essere super attiva e quindi ti dimentichi che, forse, alle 20 e con due bambini sarebbe il caso di organizzarsi per la cena.

Comunque. Abbiamo percorso 225 km in totale comfort sulla nostra BMW Gran Tourer #BMWStories che è automatica e neanche te ne accorgi che stai guidando. Cioè, è come se macinare centinaia di chilometri al giorno fosse la cosa più normale del mondo e anche piuttosto rilassante. Soprattutto mi sono resa conto che viaggiare con un navigatore che ti guida è: riposante, corroborante e ti fa immaginare un pianeta meraviglioso in cui tutti si vogliono bene e se ne vanno in giro con il sorriso stampato sulla faccia.

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Per dire. Non abbiamo neanche litigato su quale fosse l’opzione migliore per arrivare a Skagen, semplicemente ci siamo affidati a Miss BMW Parlante. Quindi, eccoci nel paesino che segna sulla mappa la fine della Danimarca. Le case sono tutte dipinte di giallo, i tetti sono rossi e lo stroget è pieno di danesi in vacanza dalla vita. Più o meno. Esci dall’auto e l’odore dello stoccafisso ti si appiccica alle narici: incredibile, mai provato qualcosa del genere. Tutto sa di mare, pesce e gabbiani. E la B è entusiasta della camera che ci hanno assegnato: una gigantesca mansarda in bianco e nero sui tetti di Skagen con la stella di David alle finestre. Probabilmente, un’ex sinagoga eretta proprio davanti alla stazione dei treni e che oggi si chiama Foldens Hotel 2.

Da qui Grenen, la punta più a Nord di Danimarca, dista una decina di chilometri. Parcheggi e poi ti fai altri 2 chilometri a piedi tra le dune d’erba e rose selvatiche. Noi, invece, ci siamo concessi il lusso di salire sullo Sandormen (25 corone gli adulti, 15 i bambini dai 4 anni in su), un bus trainato da un trattore che ti porta sulla spiaggia dove i due mari si abbracciano. Anzi, si scontrano. Infatti è vietato fare il bagno: le correnti sono così violente che rischi di lasciarci le penne.

Ma poi, indipendentemente dalla temperatura e dalla stagione, ti togli scarpe & calze e corri lungo la lingua di sabbia di neanche un metro dove i flutti del Mare del Nord e del Mar Baltico si annullano e si fondono. E sono perlopiù i bambini del Nord, rigorosamente in mutande, ad avventurarsi tra i cavalloni. Noi ci siamo limitati a immergere i piedi nudi proprio nel punto in cui l’acqua è più frizzante. Non mi sembrava neanche vero, di non soffrire affatto il freddo.

 

Mi sono ispirata alla disinvoltura con cui una famiglia scandinava con 5 figli mezzi nudi e 4 husky si faceva fotografare dal papà in bermuda. E alla fine abbiamo trovato un granchio, un nuovo Trollbeads (si chiama Sabbia Marina e dalla foto intuite perché) e tutto l’amore che ci vuole per proseguire verso Capo Nord.

PS: però io ho già una linea di febbre e ho inaugurato il piumino, evviva.

 

Aarhus e il suo Trollbeads

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Momento Trollbeads. All’inizio le ragazze consigliavano un bead di vetro di Murano colorato che tra le sue piccole onde d’arancio suggeriva un fiume,  quello su cui si affaccia Aarhus.

Ma a me convinceva di più la moneta dei Troll perché unisce davvero milioni di persone nella stessa passione per questi magnifici ciondoli disegnati a mano uno per uno. E non solo perché avevo letto che questa era, appunto, la città numero 1 dello shopping scandinavo. Quindi una moneta mi pareva la scelta più appropriata.

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In realtà mi ha convinto il cuore stampato sull’altra faccia della monetina d’argento. Perché io amo il Grande Nord e questo viaggio, in teoria, dovrebbe essere un abbraccio lungo 23 giorni. Siamo al terzo, ora. Vero Berenice?

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Partenza, via: con Trollbeads è ancora meglio

 Sì, la nuova casa le è piaciuta. Soprattutto l’altalena in camera.  

Poi la Berenice è salita sul soppalco e ha trovato una montagna di regali, incluse le sneaker d’argento di Ecco.
  

Quindi abbiamo celebrato il suo ottavo compleanno con un giorno d’anticipo: come accade ogni estate i festeggiamenti dureranno qualche mese.

  
    
  

Ora siamo all’aeroporto di Bergamo in attesa del volo per Billund ed entrambe indossiamo scarpe d’argento di Ecco, di quelle disegnate apposta per camminare sulle nuvole.

  

Argento anche per i nostri bracciali Trollbeads: “Non arrugginiscono, vero?”, si è assicurata la B. Appena ha visto il cuore di cristallo di Frozen ha deciso: “Il primo bead è questo: si sa che chi fa la principessa delle nevi, alla fine, è buona. Un po’ come noi, giusto?”. Chissà che ne pensa il signor Trollbeads.
   

Un amore di bracciale: voilà. E gloriosi auguri Berenice.

Ogni Trollbeads è una favola

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La prima volta che sono diventata madre ho pianto & singhiozzato. Disperatamente: ero convinta di morire, con un cesareo; che me ne sarei andata via così senza neanche combattere dopo solo 12 ore di travaglio. Poi ho visto la Berenice e ho capito che da lì in poi la mia vita sarebbe stata tutta rosa fuchias, come diceva lei.
Al secondo figlio (e relativo cesareo) non sono riuscita a camminare per un mese. E pensavo di aver terminato tutte le mie lacrime con Vittorio.

Invece, ogni volta che mi nominano la parola “parto” e un neonato fa nghè me ne scende una in automatico e mi riga la guancia. Giuro. Ovvio che oggi quando Trollbeads mi ha consegnato il bead maternità mi sia commossa. Era il minimo e ogni mamma sa esattamente perché, vero Jessica from Miami?

Ogni bead è una tappa del viaggio
Ogni bead è una tappa del viaggio

Comunque. Il 7 agosto, giorno dell’ottavo compleanno della Bambola, comincia l’avventura. E Trollbeads, il fiabesco marchio di gioielli danese, ci ha aiutato a comporre il viaggio che ci porterà fino a Capo Nord. Ogni giorno avremo un bead su cui favoleggiare e immaginare una, nessuna o centomila storie da raccontare in Scandinavia. Il primo è appunto il bead Maternità, da cui il cappello introduttivo lacrimoso. Scusate e Thank You.

Per ora è tutto una sorpresa. Per la B, intendo. Ok, qualcosa le ho accennato solo non sa che anche lei avrà il suo mini bracciale da mettere insieme. Più piccolo, rosino e pieno di cose magiche (il fiocco di neve, il diamante rosa, Pollicina+ il Brutto Anatroccolo). Tak Hans Christian Andersen.

 

Ogni bead è una favola
Ogni bead è una favola

Notizia di servizio. Qui da Trollbeads se arricchisci il tuo bracciale di bead e, a un certo punto, diventa troppo stretto, te lo sostituiscono con uno della misura adeguata. Gratuitamente.

Non solo. I beads di vetro, in teoria, portano in dote una garanzia a vita. Sì, perché per realizzarne ognuno gli artigiani danesi usano il vetro di Murano (il migliore e più resistente e scenografico del mondo) che grazie alla tecninca dell’avvolgimento diventa infrangibile. Quindi, se un bead si spezza, significa che aveva un difetto originale e basta andare in negozio per averne un altro uguale e perfetto (a Milano è in via Pontaccio 3/5 e le ragazze sono molto carine, gentili e vorreste subito sposarne una o trasformarla nella vostra nuova BFF).

Devo solo accertarmi che quando arriveremo a Lalandia, il parco acquatico di Billund, Danimarca, la B accetti di separarsi dal suo bracciale col il primo e unico bead: per i Trollbeads il cloro è come la criptonite per Superman. Riuscirò a convincerla? Intanto, nessuno le dica niente. Rimanga tutto tra noi. Ssssh.

 

 

Trollbeads che viaggio!

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Lise Aagarad, la signora Trollbeads

La prima volta che ho visto Trollbeads ho pianto. Occhei, ormai ho una certa età e le lacrime in tasca, ma provateci voi a trattenerle davanti al video che vi allego: un minuto e rotti per raccontare al mondo che cos’è una mamma. Deve essere piaciuto anche a parecchie altre persone perché ha ricevuto un milione e 300mila click ed è diventato virale.

Ora, poiché spero che anche i video che girerà la Berenice in Scandinavia lo diventino, li ho chiamati per capire quale sarebbe la formula magica.

Mi hanno spiegato che ogni storia è a sé e che proprio non se la sentivano di sbilanciarsi. Però, sarà che sono tutte femmine e c’è pure qualche madre (ma assai cool, diciamolo), tra me e TROLLBEADS è scattato l’incanto e così abbiamo deciso di avventurarci insieme fino a Caponord.

E ora vi spiego meglio. È venuto fuori che TROLLBEADS è un marchio di gioielli danesi ed esiste dal 1936 quando Svend Nielsen, orafo, aprì un negozio in centro a Copenaghen: fu uno dei primi a usare la fusione a cera persa per lavorare l’argento che, ai tempi, fondeva e piazzava dentro a stampi di gesso di ogni forma e dimensione. Sua l’idea di creare i primi magnifici bead, cioè dei ciondoli artigianali che, inizialmente, riproducevano esseri fatati scandinavi che lassù chiamano troll, folletti. Ogni gnomo veniva poi agganciato a un laccio di pelle: i primi braccialetti erano così.

Tradizione che è stata abbracciata dal Soren, orafo pure lui. E da tutta la famiglia, ovvio. Ma è stato merito di Lise, l’altra figlia, se TROLLBEADS è diventato un marchio di successo: nel 1987 ha aperto un negozio di gioielleria a Lyngby e alla stringa di pelle ha sostituito un bracciale d’argento a cui ha aggiunto una chiusura a doppia apertura.

la famiglia di Trollbeads

Questo perché le sue clienti impazzivano per i beads e avevano cominciato a creare bracciali personalizzati che adattavano ai loro gusti, ma anche alle ricorrenze. Per esempio, li regalavano per i compleanni, i battesimi, le lauree, i diplomi e insomma ogni momento era buono per aggiungere un bead a un ricordo speciale.

E con la chiusura estraibile avrebbero potuto aggiungerne in quantità industriale. Da qui il successo dei gioielli componibili danesi in 50 paesi: ora di beads ne esistono oltre 500 e li trovate anche in vetro, oro, rame, argento, perla, ambra e pietre preziose.

Ogni bead continua ad essere realizzato a mano da un designer e ha una storia speciale da raccontare in ogni stagione e momento dell’anno. Dunque, appena le signore di TROLLBEADS hanno saputo del nostro viaggio, ci hanno proposto di comporre un bracciale che per ogni tappa avrà un bead. Un significato magico, ecco.

Berenice è entusiasta perché nella sua cameretta ha una moltitudine di scrigni che, da quando ha imparato a pronunciare la parola “gioiello”, contengono anelli, bracciali, collane, tiare e corone da ogni parte del mondo.

E quando ha trovato il catalogo in casa ha cominciato a sceglierli con l’evidenziatore. Ma non credo che saranno tutti rosa fucsia, amore mio. Stay tuned.