E niente, a Umea siamo stati più o meno il tempo di un musical. Quindi uno scatto appena e via. Però abbiamo stabilito il record di neanche 7 ore per arrivare a Stoccolma, evviva. Va da sé che siamo devastati, che più che una vacanza è una corvée, ma con la Bmw Grand Tourer si guida che è una meraviglia, il Martini lo vendono solo in posti speciali dai nomi assurdi perché gli svedesi sono proibizionisti come i norvegesi, la temperatura è intorno ai 25 gradi, io ho rimesso i sandali. Però siamo felici perché non sappiamo se è arrivata la famosa lettera. Doppio evviva.
Abbiamo un gigantesco appartamento allo Scandic Hotel di Djurgårdendi, l’isola a più altra concentrazione di musei della città. E in programma per la nostra 24 ore di fuga in città avevamo lo Skansen, il museo all’aperto più antico del mondo, e un salto allo Junibacken, quello dedicato alla madre di Pippi Calzelunghe. Però oggi avevamo voglia di pop. Quindi ci siamo infilati nel museo degli Abba che, prima di aprire, è stato annunciato e celebrato per anni. A un certo punto pensavo che ci prendessero in giro. Invece no, è dovuta nascere la Berenice e arrivare poi Vittorio perché io potessi vederlo.
Gioia e gaudio.
Dialogo madre/figlia.
«Mamma, ma tu eri fan degli Abba?»
«No, io nascevo e loro avevano già vinto almeno tre dischi d’oro»
«Quindi non sei vecchia come loro»
«Rispetto a loro io sono, come dici tu, una ragazza»
«Ma gli uomini portavano le zeppe? E quella perché ha addosso un vestito che sembra il tubo di un dentifricio?»
«Era la moda dell’epoca. Gli anni settanta»
«Quando tu eri piccola. Ma, praticamente, tu di chi eri fan?»
«Io prima volevo sposare Simon LeBon dei Duran Duran, poi ho deciso che mi piaceva di più Madonna»
«Ah ecco».
Questo mentre Vittorio lottava per restare a bordo dell’elicottero che ai tempi portava gli Abba a spasso da una città all’altra. Comunque. Questo museo è una figata. E anche i bambini si divertono a scoprire i video del gruppo svedese più popolare e baraccone del paese. Ma possono anche: mixare i loro successi, cantarli, ballare sul palco mentre appaiono le gigantografie dei Fantastici Quattro svedesi danzanti. Oppure, come ha fatto la B, ci si può ritirare in uno studio e ballare per conto proprio. Per protesta.
È ovvio che quando siamo arrivati a Gamla Stan, la città vecchia medievale, la B ha preteso il pellegrinaggio ai negozi di souvenir. È qui che abbiamo avuto la prova che le ragazze di Trollbeads hanno sempre ragione: il bead a forma di cavallo replica quello di Dala che è diventato il simbolo di Stoccolma. Fino a un centinaio di anni fa era il giocattolo più diffuso in Svezia: lo intagliavano i contadini davanti al fuoco del camino per ammazzare le lunghe e oscure notti polari. Oggi lo trovate di tutte le dimensioni, dal magnete per il frigo alla scultura da piazzare in salotto. Anticamente era rosso, ora lo fanno di tutti i colori. Ma va?
Eppoi abbiamo fatto i turisti in in viaggio col baby. Quindi gita in battello (bella quella Under the bridge che dura un’ora e 45 minuti), parchetto e seratona al LunaPark che qui si chiama Gröna Lund e si affaccia sul mare. Ha le montagne russe più terrorizzanti del pianeta terra. E c’è anche un calcinculo, l’Eclipse, che appena lo vedi svieni. Soprattutto se soffri di vertigini come me. È il più alto del mondo e ti fa volare fino a 120 metri d’altezza. Non ho potuto scattare foto perché: 1) avevo il mal di mare; 2) a un certo punto ha incominciato a piovere; 3) quindi siamo rientrati. Grazie Dio.