Cool Sweden

      
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    Oggi sono in viaggio col baby e tra qualche ora vi sommergerò di foto+notizie. Però ho il pensiero fisso sulla Scandinavia quindi, anche se è sabato, vi somministro la vostra dose quotidiana di Nord. Posto un pezzo che ho scritto per L’Espresso e che resta ancora attuale: su quanto siano cool gli svedesi. Ai tempi ero “signorina”, sì, insomma zero figli. Ma se avessi visto per strada la Berenice l’avrei presa per una bambina svedese. Che è poi la ragione per cui metto la sua foto a illustrare la “Swedish grace”. Stay tuned.

    Prima stilettata. “Le italiane passano la metà del loro tempo a vestirsi, l’altra metà a spogliarsi e in entrambi i casi lo fanno per compiacere gli uomini”. Riflessione n°2. “È il freddo che ci rende “naturalmente” diversi. In Svezia, essere eleganti a tutti i costi è impossibile. Rischieremmo di rimanerci secchi”. Conclusione: “Per questo, il nostro approccio ai vestiti è pratico: rendiamo la moda accessibile a tutti e ad ogni latitudine”. Usa queste parole Margareta Van Den Bosch, capo degli stilisti di Hennes & Mauritz, meglio nota come H&M, per spiegarci il successo del gigante dell’abbigliamento svedese a buon mercato che è sbarcato a Milano in corso Vittorio Emanuele. Al posto di Fiorucci, il padre dei concept-store di casa nostra che cede all’avanzata del cheap&chic nordico. Una piccola rivoluzione del costume che segna anche la fine di un’epoca e l’alba di un’altra in cui la democratizzazione si compie a colpi di top e gonnelline di viscosa a prezzi stracciati: “Mi irrita l’atteggiamento snob di quelli che pensano che la moda, per essere tale, debba essere di lusso” continua Van Den Bosch. “Io disegno vestiti che tutti possono permettersi e ne sono orgogliosa”. Il che ben si declina con i valori tradizionali della gente di Stoccolma, cresciuta con la convinzione che “Nessuno è migliore di un altro” e che “Di meno vale sempre di più ” per cui, se volete fare un complimento a uno svedese, vi basta usare un aggettivo: ordinario. Considerata la loro naturale resistenza all’eccesso di stravaganza, lo prenderanno come un gentile attestato di stima. Infatti semplicità, rigore e sobria eleganza sono le virtù che hanno fatto della “swedish way of life” un modello di stile esportato in tutto il mondo: marchi come Filippa K, Anna Holtblad, e J. Lindeberg sono finiti nei sofisticati department store di New York e l’etichetta sportiva Whyred ha uno spazio da Harrods a Londra e da Fred Segal a Los Angeles.

    La rinascita culturale è iniziata in sordina alla fine degli anni ’80, ha galoppato in pieno boom internettiano e ora sta investendo come un’onda anomala tutti i campi delle arti: dal design, alla musica, al cinema, alla moda, alla gastronomia. Tanto che le multinazionali usano la Svezia, terra di giovani e ispirati trendsetter, per testare lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi: “Il nostro è un paese estremamente veloce nel catturare le tendenze” spiega Claes Britton, direttore della rivista patinata Stockholm New, il manifesto degli scandinavi stylish. “Il che non ha tanto a che fare con l’originalità, quanto con la capacità di ridare forma agli impulsi che prendiamo in prestito da altre culture. In più, usiamo anche una buona dose d’ironia, quella rustica naiveté vichinga di cui non siamo ancora riusciti a sbarazzarci”. 

    Nonostante siano gli europei più connessi alla Rete , nonché i pionieri della società senza fili (la linea metropolitana di Stoccolma è cablata da un bel po’ e il cellulare prende): in Svezia ci sono più telefonini che persone e un quarto del Pil deriva dall’Information Technology che ha generato nuovo denaro e dato energia a tutto, dall’arte alla ristorazione. Terence Conran, l’inglese che ha insegnato a mangiar bene (cioè italiano) ai londinesi, è sceso in città per fare il restyling a Berns, ristorante d’epoca che si affaccia sui Giardini del Re. Mentre i designer svedesi, figli della prestigiosa Beckmans School of design sono ultra ricercati: Thomas Sandell, il più quotato, lavora per Cappellini, de Padova e B&B Italia e ha ristrutturato la sede di Wallpaper, il magazine icona del minimalismo chic.

     “La Svezia è un paese piccolo e remoto e il nostro è un mercato troppo angusto: viviamo di esportazioni, guardiamo all’estero. Basta vedere con quanto entusiasmo è stata accolta Ikea nel mondo” aggiunge Claes Britton. “La nostra enorme energia creativa ha bisogno di sbocchi internazionali ed è per questo che ci muoviamo due volte più veloci degli altri”. La Svezia, infatti, dopo l’Italia e la Gran Bretagna è il terzo mercato più fiorente per l’interior design e la Stockholm Furniture Fair  una delle più interessanti fiere di settore. Se un tempo i maestri si chiamavano Jonas Bohlin, Mats Theselius e Björn Dahlström e Pia Wallén, designer e stilista di moda, era l’unica donna ammessa in un consesso di geni al testosterone, oggi le presenze femminili sono sempre più numerose e Anna von Schewen, l’artista più dotata della nuova generazione affollata di Nine, Katarine, Monike e Camille. 

    La “swedish grace”, espressione coniata nel 1925 per definire la grazia del design biondo, ha il merito di costringere le cose complicate a soluzioni elementari: lo stile è essenziale, puro, fatto di linee rette ingentilite da forme curve, colori pallidi, materiali naturali. In un paese in cui gli inverni sono lunghi e bui e il sole di mezzanotte dura un paio di mesi, tutto deve riflettere la poca luce disponibile, catturata da vetri trasparenti e pareti immacolate. Perfino Mc Donald’s ha ceduto al nordic style: quello di Kungsgatan 4 è stato ristrutturato in chiave minimalista dal famoso trio Claesson-Koivisto-Rune. Perché i dettagli sono tutto. Lo hanno imparato anche gli chef che hanno viaggiato molto, visto tanto e gustato ogni genere di prelibatezza. Tornati ai fornelli hanno compiuto l’ennesimo miracolo trasformando patate bollite, aringhe in salamoia, pesce bianco, mirtilli e lamponi in pura poesia per il palato: Mathias Dalhgren, a soli 29 anni, ha vinto il Bocuse D’oro nel ’97 e da allora è considerato lo chef più bravo del mondo. Gestisce lo strepitoso Bon Lloc di Stoccolma, una stella Michelin; due ne ha l’Edsbacha Krog di Christler Lingstrom, cuoco-cacciatore che serve in tavola selvaggina eccellente. Leif Mannerström del Sjomagasinet (una stella) di Goteborg è talmente celebre che le poste svedesi gli hanno dedicato un francobollo: “E’ quello che noi chiamiamo “effetto Björn Borg”. Quando Borg ha vinto a Wimbledon i giovani vedevano il tennis come la strada verso la fama e la fortuna. Oggi vogliono tutti cucinare e gli chef sono trattati come rock star” ha spiegato al New York Times, che ha dedicato ai “sapori di Svezia” un corposo servizio. Ma Vanity Fair ha fatto di più: ha spedito il mago dell’obiettivo Bruce Weber a Stoccolma e gli ha commissionato un reportage fotografico di 20 pagine dedicato all’underwear. Cinque giorni a caccia di corpi magnifici, bionde apparizioni di dei, impalpabili luci nordiche: “Negli Stati Uniti quando fermi qualcuno per strada e gli chiedi: “Hey, posso farti una foto?” la risposta più ricorrente è: “Oh no, per che cosa ti serve?”” commenta il fotografo. “In Svezia, invece, ti dicono: “Perché no?”. Deduzione: gli svedesi sono aperti e disponibili, in una parola, cool. Bella scoperta.

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