Aarhus? La città della cultura 2017

Prima osservazione. Qualcuno dovrebbe spiegarmi per benino come vanno davvero certe cose in Europa: Aarhus sarà la città della cultura 2017 e mi domando perché. Ok, è la seconda di Danimarca con 325mila abitanti (di cui 60mila solo studenti) e l’ente del turismo strilla sui depliant che è pure la prima meta dello shopping in Scandinavia. Ciò significa che fanno assai bene il loro lavoro visto che questa è solo una graziosa cittadina sul mare con una cattedrale di mattoncini bruni (con la navata più lunga del Paese, secondo Lonely Planet: 100 metri) e una fontana a spirali dentro cui i bambini tuffano piedi, mani e qualunque cosa assomigli a una nave.

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Comunque. Il tema grazie al quale alla fine del prossimo anno troverete una moltitutine di articoli su Aarhus sui nostri giornali è il seguente: “rethink”, cioè ripensare il modo in cui viviamo, quindi sperimentare, provare insomma altre strade.

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Secondo. Lo stroget, la via dello struscio, non è granchè quindi abbiamo seguito il corso del fiume, una specie di naviglio ma pieno di verde, zero zanzare e un sacco di giovani in canottiera e famiglie al sole. E  proprio lì abbiamo trovato un  mercatino di abiti & giocattoli usati con un’atmosfera a metà tra Camden e la piazza dei fiori di Amsterdam e hipster pronti a venderti qualunque cosa dalle corna di piccoli cervi fatti fuori in gita con papà alla la ruspa di quando avevano 3 anni e mezzo o giù di lì. Che è quello che ho sempre voluto fare io: svuotare l’armadio e la stanza dei bambini, scendere al parco e vendere tutto. Invece.

Dopodiché siamo entrati a Den Gamle By, che sarebbe la città vecchia e invece è un parco giochi per adulti in cui ogni casetta colorata replica quelle del glorioso passato danese. Quindi schiacci review e ti ritrovi in un Luna park dell’800, uno di quelli in cui andava Hans Christian Andersen a cercare ispirazione: vedi altalene a forma di barchetta, calcinculo di latta, bowling di legno e giovani riccioluti col cilindro da prestiguatore. E, un po’ più in là, le famigliole danesi che fanno pic-nic pantagruelici. Sì, perché da quel che sto capendo qui ogni occasione è buona per tirarsi dietro il solito carretto di legno zeppo di cibi, birre e borse frigo di design.

E poi si entra nel Novecento con le prime pompe di benzina e i telefoni del ’27. Altra data fondamentale, il 1974: quindi hanno ricreato una comune, ma anche una famiglia tipo di quattro e una donna single. Giuro. Eh, sono molto didascalici.

La terza questione su cui ho riflettuto per tutta la giornata è la seguente: qui appena fai un figlio e superi i 30 anni ti lasci crescere i capelli bianchi come fosse la cosa più normale del mondo. Il che può avere due significati opposti: la definitiva liberazione delle donne (soprattutto le more) dalla schiavitù della tinta, quindi dal cliché che ci vuole tutte belle, perfette e sorridenti fino alla fine dei nostri giorni; oppure la resa al passare del tempo e alle nostre aspettative come se sposarsi, ma soprattutto diventare madre, le mettesse al riparo da qualunque altro desiderio. Per la serie, tanto vale rassegnarsi.

E mentre stavo pensando che a me non accadrà mai ci siamo ritrovati nel mezzo di un’opera lirica nel parco, proprio davanti al museo d’arte contemporanea Aros. Quindi i bambini si sono messi a giocare con un aereo/balena, una coppia di cinquantenni si è accomodata sul prato e ha aperto il cestino del pic nic (!) e io mi sono fatta una Tuborg. Tanto vale vivere.

 

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